Francesco Marocco, originario di Vicalvi, era soprannominato Tartaglia. Divenne un brigante dopo aver commesso un omicidio e si dedicò a una carriera criminale. Nel XVI secolo, Tartaglia uccise uno dei responsabili dell’omicidio di suo fratello. Successivamente, nel 1570, in occasione della festa del Corpo di Cristo, insieme a quattordici altri banditi, uccise dieci persone, tra cui un notaio e tre figlioli, nella chiesa di Vicalvi. Tartaglia si trasferì poi a Bracciano, dove lavorò per nobili come Paolo Giordano Orsini, Marcello Accoramboni e Palazzo Mattei. Il papa pose una taglia di 300 scudi sulla sua testa per delitti commessi fra Formello e Bracciano.
Il vero nome del brigante Tartaglia, Francesco Marocco, proveniva da Vicalvi e fu chiamato così a causa del suo balbettio. Secondo la tradizione dell’epoca, si diceva che fosse scappato dopo aver commesso un omicidio e si fosse poi dedicato alla brigantaggio. La sua storia è diventata quasi leggendaria nel corso degli anni.
Non ci sono date esatte, ma si pensa che tutto sia accaduto nel XVI secolo. Le informazioni su di lui provengono dagli atti del tribunale del governatore conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, che rivelano praticamente tutto.
Si dice che il motivo del suo coinvolgimento nel brigantaggio sia stato la vendetta per la morte di un fratello, anche se non si sa come o perché fosse accaduto. È facile immaginare quanto questo evento abbia segnato profondamente Tartaglia, e quando un giorno trovò casualmente uno degli assassini, non riuscì a resistere alla tentazione di reagire in modo violento.
Era un certo Tommaso Compagna, un contadino che viveva a Monte Rotondo. Quando Tartaglia lo trovò, lo fece sedere insieme a un altro bandito di nome Martino de Alvito, e gli chiese di raccontare perché avesse ucciso suo fratello. Tommaso disse che l’aveva fatto su richiesta di alcuni residenti di Vicalvi, che gli avevano promesso dieci scudi ciascuno per commettere il delitto. Dopo che Tommaso confessò, fu ucciso dai banditi.
In seguito, Tartaglia tornò a Vicalvi con altri quattordici banditi, il giorno della festa del Corpus Domini, probabilmente intorno al 1570. Mentre alcuni dei banditi rimasero fuori dalla chiesa, Tartaglia e un altro uomo entrarono durante la messa. Tagliarono le corde delle campane e presero alcuni residenti, legandoli con le corde e portandoli fuori dalla chiesa dove li uccisero. Dieci persone morirono, tra cui un notaio con tre figli. Dopo l’attacco, i banditi si allontanarono e si unirono ad altri gruppi di fuorilegge nella campagna circostante.
Non si specifica quale chiesa fu teatro della strage, ma potrebbe essere stata la chiesa di San Pietro, poiché l’altorilievo in stucco della Vicalvi dell’epoca presente nella sala della villa Gallia alla Pesca, poi nota come villa Mazzenga, raffigura solo questa chiesa. L’altorilievo fu realizzato circa cinquant’anni dopo l’evento tragico.
Dopo il massacro, Tartaglia si spostò nel territorio di Bracciano, dove lavorò per alcuni anni al servizio di nobili locali, tra cui Paolo Giordano Orsini, Marcello Accoramboni e Palazzo Mattei. Papa Gregorio XIII mise una taglia di 300 scudi messa sulla sua testa per i crimini commessi tra Formello e Bracciano.
In ogni caso, sembrava che fosse giunto il momento di cambiare ancora una volta aria. Tartaglia decise di trasferirsi in Sicilia.
In seguito, però, decise di lasciare la Sicilia e di ritornare sulla terraferma per recuperare alcuni beni che la “giustizia” gli aveva confiscato a causa di debiti non pagati. Si stabilì in zona Tor San Lorenzo e, mentre lavorava in un campo nel 1607, le forze dell’ordine lo catturarono. A quel punto, era ridotto alla fame dopo aver girato per Roma nei giorni precedenti.
Un tizio di nome Domenico Antonio Rotondo fece catturare Tartaglia, che aveva sentito che aveva in mente di fargliela pagare. Non si sa per quale motivo, però. Durante il processo successivo, uno dei testimoni lo ha paragonato ai famosi briganti del Cinquecento.