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Il primo prolungamento della chiesa. Reliquie e devozione popolare, nella medesima epoca

Anche l’aula trasversale, il transetto, che ingrandiva e prolungava il primitivo tempio della Madonna, dovette essere opera dell’infaticabile d. Federico De Manlion, sia perché nel 1693, come constateremo, essa già esisteva, sia perché nelle fonti archivistiche non si rinviene alcun cenno a questo importante incremento edilizio dell’antico santuario.

Questa nuova costruzione, che si aggiungeva alle tre precedenti navate, inglobandole in un’unica struttura, e che dava a tutto il complesso sacro la forma di croce latina, era più ampia e più alta della parte più antica antistante e conferiva indubbiamente a tutta la chiesa più spazio, più luce ed agibilità.
L’unico lato in cui era possibile realizzare un’opera del genere era quello orientale, verso il fiume. A tale scopo fu abbattuta la parete di fondo del primitivo tempio e venne costruita la nuova aula dall’aspetto molto semplice, senza ornamenti e decorazioni.

Sul nuovo muro di fondo, in corrispondenza con la navata centrale, fu eretta una nuova cappella della Madonna con l’altare, il trono e una finestra a lunetta sovrastante. Nelle due pareti opposte, situate a nord e a sud, in alto, vennero aperti due finestroni per parte, che davano luce ed aria, e in basso nel piano della chiesa, furono situate due porte d’uscita, l’una a nord e l’altra a sud.

Ai lati della cappella della Madonna, che al tempo della nuova costruzione rimasero vuoti, solo in epoca posteriore furono posti altri due altari con altrettante finestre a lunetta sovrastanti, alquanto più basse rispetto a quella centrale, come ci dimostra chiaramente un’altra antica foto del santuario, che ritrae questa parte retrostante della chiesa.

La somma necessaria per attuare tali opere e che, attesa l’entità dei lavori eseguiti, dovette essere anche ingente, proveniva certamente dalle offerte che i devoti di anno in anno facevano al santuario in occasione della loro visita alla Madonna o accogliendo nei loro paesi i questuanti o le questuanti (le eremite) di Canneto, che vi si recavano per le raccolte del grano, dell’olio o di altre derrate, come sarebbe avvenuto tante volte nei secoli seguenti. Offerte quindi in denaro, in oro e in natura.

Ma, anima e cuore di tutta quell’opera, che in considerazione delle difficoltà del luogo e dei tempi può dirsi veramente grande, fu l’abate dell’epoca d. Federico De Manlion, il quale, grazie anche al suo lungo abbaziato di Canneto, durato oltre trent’anni se non quaranta, poté attuare, ovviamente a più riprese e secondo le disponibilità finanziarie del santuario, il suo coraggioso progetto di dotare la chiesa della Vergine di servizi essenziali e di prolungarne il tempio con un nuovo corpo di fabbrica.

Lo scopo che egli si prefiggeva con tali realizzazioni è esplicitamente indicato nel citato anonimo manoscritto di Montecassino: affinché i popoli conservassero la devozione verso la Madre di Dio e non andassero disperse le numerose reliquie, che qui si custodivano.
Quindi due motivi di grande richiamo per le folle di Canneto: la chiesa della Madonna Bruna, che diveniva sempre più accogliente, grazie soprattutto alle oblazioni dei fedeli, e il cospicuo patrimonio di reliquie qui conservato, garanzia di protezione dei rispettivi santi dal cielo.

Concludendo. Questo complesso sacro di Canneto, rinnovato ed ingrandito nei primi decenni del sec. XVI, qui sufficientemente descritto, si conserverà nelle sue strutture generali pressoché invariato, salvo lavori di riparazione e di consolidamento dovuti ad intemperie e terremoti, per altri tre secoli fino ai nuovi restauri ed ampliamenti del 1853-57.


Tratto dal libro di Mons. Dionigi Antonelli • La chiesa di S. Maria di Canneto: dalle antiche costruzioni all’attuale ristrutturazione generale

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