Categorie
Storia

I preparativi Sannitici e Romani

Preparativi Sannitici

Fu proclamata la leva in massa per tutto il Sannio, con la nuova legge, che qualsiasi giovane non si fosse presentato all’appello o se ne fosse andato senza permesso diventava senz’altro reo di morte, e subito dopo fu emanato l’ordine di adunata nei pressi di Aquilonia. (Vedi figure 8, 9).

Dopo che fu formato un esercito di circa 40.000 unità, nel centro degli accampamenti venne costruito con pali e fascine un grande recinto di forma quadrata con lato di circa cento metri, e rivestito all’esterno con teli di lino. Dentro di esso fu celebrato un sacrificio secondo le prescrizioni di un antichissimo libro di lino, da un sacerdote anziano di nome Ovio Paccio, il quale asseriva che quelle cerimonie ripristinavano un primevo rito sannitico, celebrato dai loro padri al tempo in cui avevano deliberato segretamente di strappare Capua agli Etruschi.

Terminato che fu il sacrificio, il comandante supremo cominciò a far chiamare tutti i guerrieri più ragguardevoli per nascita ed imprese personali. Questi venivano accompagnati uno per volta all’interno del recinto, dove tutto era predisposto per suscitare religioso terrore: oltre all’occorrente per il sacrificio, si vedeva al centro l’altare con animali sgozzati qua e là, e attorno centurioni con le spade sguainate. La recluta veniva avvicinata all’altare più come una vittima che come un partecipante alla cerimonia, e veniva costretta a giurare che non avrebbe mai svelato ad alcuno ciò che aveva visto e sentito là dentro. Indi gli veniva imposto di pronunciare la formula di una terribile maledizione, destinata a ricadere sul suo capo, sulla sua famiglia e su tutta la sua discendenza se non si fosse recato dove i superiori avessero comandato, o fosse fuggito dai ranghi, o non avesse ucciso all’istante chiunque altro avesse visto far ciò. Alcuni giovani che al principio si erano rifiutati di pronunciare quel giuramento furono massacrati all’istante, ed i loro corpi, gettati fra il carname degli animali, erano di monito per gli altri che venivano mano mano, perché non si rifiutassero.
Dopo il giuramento, il comandante supremo pronunciò dieci nomi, ed a questi fu dato l’ordine di scegliersi ciascuno un compagno, e così via, fino a raggiungere il numero di 16.000. Cotesta legione fu chiamata linteata dal rivestimento del recinto, ed ai suoi componenti furono consegnate armi vistose ed elmi con creste, in modo che sovrastassero tutti gli altri. (Vedi figure 10, 11).

Le rimanenti forze, che raggiungevano il numero di più di 20.000 unità, non erano inferiori né per prestanza fisica, né per gloria militare, né per armatura.

Preparativi Romani

Da Roma partì prima il console Spurio Carvilio Massimo, al quale erano state assegnate le legioni che Marco Attilio, console dell’anno precedente, aveva lasciate nel territorio di Interamna. Con queste egli si recò nel Sannio e, siccome i nemici erano ancora intenti ai raduni segreti per le loro pratiche superstiziose, prese a viva forza la città di Amiterno dalle mani dei Sanniti, facendo circa 2.800 morti e 4.270 prigionieri.

Il suo collega Papirio intanto arruolò un nuovo. esercito secondo l’ordine del senato, ed andò ad espugnare la città di Duronia, dove i prigionieri furono meno di quelli di Carvilio, ed i morti un po’ di più, e sia nell’una che nell’altra città il bottino fu ricchissimo.
Indi i due consoli si riunirono e, dopo aver compiuto una vasta perlustrazione in tutto il Sannio ed aver devastato la campagna di Atina, Papirio andò ad accamparsi nei pressi di Aquilonia, dov’era il comando e il grosso dei Sanniti, e Carvilio in vicinanza di Cominio. (Vedi figura 12).

Nei primi giorni non ci furono grandi operazioni, ma neanche si stette senza far nulla. Se il nemico non prendeva l’iniziativa, i Romani lo stuzzicavano, lesti a ritirarsi se quello passava al contrattacco, e così si passava il tempo, minacciando la battaglia piuttosto che dandola. In questo frattempo qualsiasi iniziativa fosse presa 0 abbandonata, anche se di poco momento, veniva giornalmente comunicata dall’uno all’altro accampamento, i quali distavano una trentina di chilometri, e così i consigli del collega lontano portavano giovamento anche alle azioni dell’altra parte. Però il pensiero di Carvilio di tanto era più presente ad Aquilonia che a Cominio, di quanto maggiore era la posta in quel settore.

Quando Papirio ebbe condotto a termine tutti i preparativi, mandò a dire al collega che era sua intenzione di attaccare il nemico il giorno dopo se gli auspici fossero stati favorevoli, e perciò era necessario che anche lui assaltasse la fortezza di Cominio con la massima violenza possibile, in modo da non dar respiro al nemico, ed impedirgli di mandar soccorsi ad Aquilonia. Il messaggero fece il viaggio d’andata di giorno, e di notte quello di ritorno, portando la risposta che Carvilio era pienamente d’accordo. Appena inviato il messaggero, Papirio aveva tenuto un discorso davanti al suo esercito, fermandosi sul tema della guerra in generale, e sulla presente messa in scena del nemico, più vuota apparenza che reale utilità per un felice risultato: Non sono le creste che fanno le ferite, e i nostri giavellotti trapasseranno gli scudi variopinti e dorati. (Vedi figura 13).

Quando poi si passerà all’arma bianca, le schiere sfolgoranti di candide corazze rimarranno tutte imbrattate di sangue. A Longula mio padre fece un’orribile strage dell’esercito dei Sanniti vestiti d’oro e d’argento, e le spoglie riportate furono per il vincitore più gloriose di quanto non fossero state quelle armi per il nemico. E destino della nostra famiglia e del nostro nome di trovarsi a capo dell’esercito di fronte ai massimi sforzi dei Sanniti, e di riportare spoglie così ricche da distinguersi anche nella decorazione dei pubblici edifici. Gli dei immortali sono qui presenti, pieni d’ira contro i Sanniti a causa dei trattati tante volte richiesti ed altrettante volte traditi e, se è possibile far congetture sul pensiero divino, essi non sono stati mai così mal disposti come ora contro un esercito il quale, macchiatosi del sangue di uomini e di animali in un rito sacrilego, col quale è incorso una volta di più nell’ira divina, e terrorizzato dalla presenza degli dei mallevadori dei trattati stretti con noi Romani dalle maledizioni di un giuramento pronunciato contro questi st’essi trattati, ha giurato contro la sua volontà, odia il giuramento, ed ha paura in uno stesso tempo degli dei, dei compagni d’armi e dei nemici.

Quando Papirio ebbe finita la rassegna di tutti questi particolari appresi dai disertori Sanniti, i soldati, che già erano sdegnati contro il nemico, ripieni ora anche di speranza divina ed umana, con un sol grido chiesero l’attacco, impazienti di aspettare fino al giorno dopo.
Dopo la mezzanotte, essendo già tornata l’accennata risposta di Carvilio, Papirio si levò con grande segretezza, ed andò a dire al Pullario di prendere gli auspici. Senonché, tanto costui, quanto i suoi collaboratori erano venuti a conoscenza della febbre di combattere che aveva preso l’esercito, dal più grande al più piccolo, e perciò, sebbene i polli non avessero voluto mangiare, non si fece scrupolo di nascondere la verità, e fece dire al console che c’era stata la forma d’auspici più favorevole, e cioè che i polli avevano mangiato così avidamente, che il cibo era caduto in tera dai loro becchi. Il console entusiasta fece dare l’annunzio che gli auspici erano favorevolissimi e che l’azione era voluta dagli dei e, senz’altro, diede ordine di alzare il segnale della battaglia.

Mentre poi stava uscendo dalla tenda per scendere in campo, un disertore gli venne a dire che venti coorti di Sanniti, ciascuna di 400 unità, erano partite alla volta di Cominio. Allora mandò subito a dire la cosa al collega, e da parte sua cercò di anticipare l’attacco giacché in antecedenza aveva dislocato in posizioni opportune le milizie ausiliarie coi propri comandanti.

Mise il luogotenente Lucio Volumnio al comando dell’ala sinistra, Lucio Scipione a quello della destra, Cecilio e Trebonio a capo della cavalleria. A Spurio Nauzio diede l’incarico di andare in fretta con tre coorti alari a nascondere i muli senza i basti dietro un’altura in vista, e tenersi pronto a riapparire al col- mo della mischia facendo polvere il più possibile. (Vedi figura 14).

Mentre Papirio era intento ad ordinare la battaglia, sorse un’ animata discussione tra pullari in merito agli auspici di quella mattina. Le loro parole furono udite dai cavalieri Romani, i quali, ritenendo la cosa tutt’altro che da lasciare inosservata, fecero sapere a Spurio Papirio, figlio di un fratello del console, che c’erano voci discordi sugli auspici. Il giovane, che era venuto al mondo prima del dilagare della miscre- denza epicurea, fece un’accurata inchiesta, e poi andò a riferire allo zio come stavano realmente le cose. Il console gli rispose: Tu meriti ogni lode per il tuo scrupolo e la tua diligenza. Però è a chi prende gli auspici che, se riferisce una cosa per un’altra, ricade tutto sul capo. Io per me ho avuto l’annuncio ufficiale che c’è stato il tripudio, che è quanto dire la migliore forma di auspici per il popolo Romano e per il suo esercito. Detto questo, diede ordine ai centurioni di mettere i pullari in prima linea. In quel momento avan- zarono anche i Sanniti con le loro armature sfolgoranti, dando spettacolo agli stessi Romani. Prima che fosse alzato il grido di guerra e si venisse alle mani, un giavellotto lanciato non si sa da che parte né da chi, ferì il pullario, che cadde davanti alla bandiera. Saputa la cosa, il console esclamò: Gli dei sono con noi. Il colpevole ha ricevuto la punizione che meritava, e, mentre pronunziava queste parole, suond alto il grido di un corvo. Papirio si rallegrò dell’augurio, e affermando che mai impresa d’uomo aveva avuto gli dei più favorevoli, fece dar fiato alle trombe ed alzare il grido di guerra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *