La battaglia di Aquilonia e Cominio (293 a.C.) segna una svolta nella Storia, quanto quelle di Zama, Legnano, Lepanto, ecc…
Basta osservare che solo ora, travolto finalmente l’ostacolo dei Sanniti (Liv. 10, 44, 7-8) e raggiunto l’Adriatico, Roma può estendere indisturbata il suo dominio verso Sud e verso Nord, e formare la «prima Italia » dal Rubicone alla Sicilia.
Questo sembra che voglia intender Tito Livio allorché chiude la prima Deca colle fiamme di Aquilonia e Cominio, come la terza con quelle di Zama. E del pari Polibio, che definisce la conquista dell’Africa fondazione di quella « signoria » che un giorno sarà detta Impero, ne ravvisa il presupposto nel settantennio che precede.
Reca pertanto meraviglia come mai gli Storici pon- gano come fine della resistenza Sannitica la battaglia di Sentino (295 a. C.), passino sotto silenzio, o quasi, la battaglia di Aquilonia e Cominio.
Perché, a parte l’ovvia osservazione che in ogni guerra è l’ultima battaglia quella che più conta, nel caso nostro la seconda è superiore alla prima anche per tutti gli altri rapporti.
È il comportamento ufficiale di Roma il primo a farci comprendere che la battaglia di Sentino dev’es- sere riguardata come una tappa e la nostra come una meta. Solo dopo di essa infatti annota Livio che la relazione dei consoli fu appresa dal Senato e dal po- polo con giubilo immenso, e l’esultanza fu celebrata con una solennità di quattro giorni, a gara con la par- tecipazione privata (10, 45, 1).
A Sentino furono uccisi 25.000 nemici, fatti pri- gionieri 8.000 (Liv. 10, 29, 17), e furono distribuiti ai soldati 82 assi di rame a testa, mantelli e tuniche (Liv. 10, 30, 10).
Ad Aquilonia e Cominio furono uccisi complessivamente 25.500 nemici, fatti prigionieri 15.270 (10, 42, 5; 10, 43, 14), fu concesso ai due eserciti il saccheggio delle città vinte (10, 44, 1), ed in particolare furono distribuiti 102 assi a testa ai soldati, centurioni e cavalieri del console Carvilio (10, 46, 15). Inoltre furono versate nell’erario 2.380.000 libbre di rame e 533.000 di argento (10, 46, 5; 10, 46, 13) e fu edificato un tempio in onore di Quirino (10,. 46, 7) ed uno in onore della Fortuna Forte (10, 46, 14). Plinio il Vecchio ricorda anche che Carvilio fece innalzare una statua in onore di Giove Capitolino di tali proporzioni, che si vedeva dal Monte Cavo (34, 43). Le spoglie poi furono tante, che non solo furono adoperate per ornare il suddetto tempio di Quirino ed il Foro, ma se ne poté far parte anche agli alleati ed alle colonie più vicine (Liv. 10, 46, 8).
Già Tito Livio sente il bisogno di sfatare le esagerazioni a proposito della battaglia di Sentino, entrata fin d’allora nel regno del mito e della leggenda (10, 3, 4-7), e tiene a sottolineare in termini espliciti che la battaglia di Aquilonia e Cominio è uno degli avvenimenti più importanti della storia di Roma (10, 39, 14; 10, 44, 7-8), ponendo nello stesso piano Lucio Papirio Cursore figlio, vincitore di Aquilonia, e Lucio Papirio Cursore padre, il guerriero da lui proclamato superiore ad Alessandro Magno (9, 17, 8 e 13), che aveva vendicato l’onta delle Forche Caudine con la battaglia di Lucera, e con quella di Longula aveva deciso della sorte finale di tutta la Seconda Guerra Sannitica. (10, 38, 1; 10, 39, 13, 14).
Come conclusione vogliamo ricordare il fatto quanto mai sintomatico che quando i Romani vollero dare l’ultima lezione ai Sanniti, che avevano tentato un’ennesima sollevazione approfittando degli effimeri trionfi di Pirro, rielessero consoli i vecchi generali Lucio Papirio Cursore e Spurio Carvilio Massimo (272 a. C.), diventati ormai un simbolo.
Descrizione della battaglia di Aquilonia e Cominio
(Traduzione da Tito Livio 10, 38-45)
Il diapason di questa narrazione è tra più alti di tutta l’opera Liviana, degno del titanico cimento in cui fu deciso il dominio di Roma sull’Italia, toccato di nuovo soltanto nella descrizione della battaglia di Zama, in cui fu deciso il suo impero sul mondo.
Però, durante la lettura, vuol essere tenuto presente che Tito Livio nutre tutt’altro che simpatia per «i nostri» dell’altra parte, tra i quali ci sono anche gli abitanti della Valle di Comino.
Egli è esaltatore incondizionato della maestà di Roma, e davanti a quest’idolo tutto deve cedere, tutto deve scomparire. Perciò, com’è sempre incline a cambiare in pregi i difetti dei suoi Romani, ed a cercare effetti di luce per mettere in rilievo loro meriti, così non sa trovare nulla di buono nei loro nemici: la loro religione è superstizione, l’amore della libertà, il patriottismo ed il senso di disciplina fanatismo. Di questo passo, non ci dobbiamo meravigliare se arriva ad affermare che in questa battaglia i Sanniti punivano ogni disobbedienza con la morte, e che furono decapitati molti soldati che si rifiutarono di pronunciare un inumano giuramento.
Proemio
L’anno 461 di Roma fu contraddistinto dall’elezione di Lucio Papirio Cursore, console illustre per gloria paterna e sua personale, da straordinarie imprese militari, e da una vittoria sui Sanniti, quale nessuno fino a quel giorno era riuscito a riportare, allo infuori del padre di detto console. Ed anche questa volta, come già a Longula, i Sanniti si apparecchiarono con sfoggio di ricche e sfolgoranti armature, ed invocarono l’aiuto degli dei mediante un giuramento imposto ai soldati con un antico rituale, non dissimile da una iniziazione misterica.
Tratto da “La Valle di Comino”, P. Michele Jacobelli, Bulzoni ed. 1971