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La Caduta di Aquilonia

L’urto fu spaventoso, anche se i moventi erano diversi: e, cioè, i Romani si lanciarono al combattimento trasportati dall’ira, dalla speranza e dall’entusiasmo, mentre i Sanniti, costretti com’erano per la maggior parte ad affrontare il nemico dalla sola forza delle circostanze e dallo scrupolo religioso, cercavano piuttosto di difendersi che di combattere. Anzi, avvezzi com’erano ormai da anni alle sconfitte, non sarebbero stati neanche in grado di sostenere il primo grido ed impeto dei Romani, se un altro terrore più potente, nascosto nei loro petti, non li avesse distolti dalla fuga: davanti ai loro occhi era sempre fissa la scena di quel sacrificio segreto, i sacerdoti armati, i cadaveri di uomini e di animali, gli altari intrisi di sangue sacro e sacrilego, la orrenda esecrazione e l’infernale formula di maledizione sul capo delle loro famiglie e della loro discendenza. Suggestionati in questo modo, rimanevano inchiodati ai loro posti, perché avevano più paura dei compagni d’armi che dei nemici.
I Romani cominciarono ad incalzare da ambedue le ali e dal centro, facendo strage di questi nemici inebetiti dal terrore degli dei e degli uomini, senza quasi incontrare resistenza. E già erano vicini alle insegne dei Sanniti, quando, tutt’ad un tratto, apparve un nugolo di polvere che dava l’impressione di un grande esercito in marcia. Era Spurio Nauzio, 0, come altri tramandano, Ottavio Mecio, colle coorti ausiliarie, che facevano una polvere infinitamente superiore al loro numero, perché bagaglioni, a cavallo dei muli, si strascicavano dietro dei rami fronzuti. A causa della scarsa visibilità pareva che davanti ci fossero soldati con armi e bandiere, e dietro, dove la polvere era più alta e più densa, un intero corpo di cavalleria che chiudesse la marcia. Non furono solo i Sanniti a prendere l’abbaglio, ma anche i Romani, ed il console fu pronto da parte sua a confermare l’errore, gridando tra le prime file, in modo da essere sentito anche dai nemici, che Cominio era caduta, e che il vincitore Carvilio veniva e in aiuto, e perciò facessero di tutto per conseguire la vittoria prima che l’altro esercito se ne aggiudicasse l’onore. Così gridava dall’alto del suo cavallo. Poi diede ai tribuni ed ai centurioni l’ordine di aprire tra le schiere un passaggio per la cavalleria. Precedentemente infatti aveva detto a Trebonio ed a Cecilio che, quando lo avessero visto alzare e squas- sare la lancia, caricassero a tutta furia il nemico. Tutto si svolse nel modo prestabilito: le corsie furono di- schiuse, ed i cavalieri con le ali ai piedi rovinarono sui nemici con le lance puntate, mettendo lo scompiglio dovunque, mentre Volumnio e Scipione completavano l’opera facendo strage dei soldati in fuga.
Cede ormai la forza degli dei e degli uomini che incatena i Sanniti: le coorti linteate, legate o no dal giuramento, sono coinvolte nella medesima fuga, né hanno più altro timore che quello del nemico presente. I fanti scampati alla battaglia cercarono rifugio negli alloggiamenti oppure ad Aquilonia, mentre i nobili ed i cavalieri presero la via di Boiano. (Vedi figu- ra 15).
Però i cavalieri inseguono i cavalieri, ed i fanti i fanti, mentre il grosso dell’esercito si dirige, per vie diverse, parte, da sinistra, verso gli accampamenti, parte, da destra, verso la città. Volumnio s’impadronì degli accampamenti un po’ prima del collega, perché Scipione incontrò maggior resistenza nella città, non perché il nemico, ormai vinto, avesse maggior coraggio, ma perché le mura servono a tener lontano il nemico meglio della trincea. Cominciarono dunque a lanciar sassi dalle mura. Allora il luogotenente, considerando che, se l’impresa non fosse stata condotta a termine prima che i nemici si riavessero dal primo sbigottimento, l’occupazione della città sarebbe diventata in un secondo tempo più dura e più lunga, domandò ai suoi soldati se sembrava loro bello che, mentre l’altra ala aveva già occupato gli accampamenti, essi, ugualmente vincitori, fossero trattenuti fuori delle porte della città. La risposta fu un vibrato ed unanime no. Allora lui per primo si diresse verso la porta tenendo lo scudo sopra la testa, e tutti gli altri lo seguirono. Indi, formata la testuggine, irruppero nella città, sbarazzandosi dei difensori, ed occuparono tutta la zona attorno alla porta, senza peraltro avanzare oltre, perché troppo pochi di numero. (Vedi figura 16). Il console in sulle prime non si era reso conto degli sviluppi della battaglia, e siccome già il sole volgeva al tramonto, e la notte, ormai vicina, rendeva tutto pericoloso e sospetto anche per i vincitori, cominciò a radunare i reparti sparpagliati. Quando però fu un po’ più avanti, vide a destra gli accampamenti nemici occupati, ed a sinistra arrivavano dalla città le grida dei Romani che combattevano, miste a quelle dei nemici in preda alla disperazione: era infatti proprio il momento dello scontro nelle vicinanze della porta. Allora si fece più vicino col cavallo e, quando vide che i suoi soldati erano sulle mura nemiche e che ormai la cosa da fare era una sola, giacché la temerità di pochi aveva aperto la via ad un grande successo, mandò a chiamare le truppe fatte dianzi ri- tirare, e fece assalire la città. Occuparono però solo il quartiere vicino alla porta, e lì si fermarono, perché ormai la notte era quasi già scesa. Durante la notte la città fu abbandonata dai Sanniti.
In questa battaglia furono uccisi 2.340 Sanniti, fatti prigionieri 3.870, conquistate 97 bandiere.
È stato tramandato che mai alcun altro capitano si mostrò di più buon umore durante la battaglia, sia perché questo era il carattere di Papirio, sia perché si sentiva sicuro della riuscita. Fu questo suo ottimi- smo a non farlo ritornare sulla decisione dell’attacco davanti all’incidente degli auspici, e, nel punto cruciale della mischia, quando secondo la tradizione si usa far promesse di templi agli dei immortali, egli fece voto a Giove Vincitore che, se avesse avuto ragione delle lesioni nemiche, prima di brindare per la vittoria, gli avrebbe offerto una coppa di vino con miele. Tale voto piacque agli dei, c cambiarono gli auspici in suo favore.

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