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Settefrati

Le reliquie di S. Maria di Canneto traslocate nella chiesa di S. Stefano di Settefrati 1618

Erano molte. Ne abbiamo avuto un primo accenno durante la prepositura di d. Federico de Manlion (…l530-l534); poi un
secondo accenno più preciso nel 1574 dal Prudenzio di Alvito, il quale ci fa sapere che tra quelle molte reliquie si trovava anche un pezzetto del legno della croce.

Il vescovo di Sora Giovannelli (1609-1632), convinto e fervente cultore lui stesso di reliquie e di corpi di santi diocesani, come di quello di S. Giuliano martire, che egli rinvenne nell’omonima chiesa di Sora, nella «Raccolta dei decreti di S.Visita» annota di sua mano (se ne riconosce bene la calligrafia) che ai suoi tempi tutte le reliquie di Canneto, chiesa unita al seminario di Sora, si conservavano sotto l’altare maggiore della chiesa di S. Stefano di Settefrati e nelle prime pagine del suo “Libro verde” ce ne trasmette in grande evidenza un elenco dettagliato e preciso.

Erano esattamente n. 32 reliquie. Ne indico qui alcune. L’elenco inizia con le reliquie degli apostoli: S. Andrea, S. Bartolomeo, S. Simone, S. Luca, poi S. Marco Evangelista, S. Biagio Martire ed altri santi e si chiude con S. Apollonia Vergine e Martire.

Le ragioni per cui esse furono traslate a Settefrati e perché erano così tante, potevano essere almeno due: per una maggiore sicurezza delle medesime e per una funzione protettiva del paese.

In quanto alla prima ragione, a Settefrati la cospicua raccolta di reliquie di Canneto era più al sicuro che non nella chiesa alpestre della Madonna, così solitaria e lontana dai centri abitati, e perciò più esposta a furti anche di reliquie, così frequenti in quei tempi.

In quanto alla seconda ragione, fin da epoca medioevale era convinzione comune che le reliquie fossero pegni tangibili di
protezione e di difesa e di conseguenza più se ne possedevano e più santi intercessori si avevano in cielo ad implorare presso il trono dell’Altissimo grazie e favori, specie contro quelli che erano i mortali nemici dei nostri paesi, sempre in agguato: le torme di avventurieri e di predoni, che per secoli passarono e ripassarono, saccheggiando e distruggendo, per queste contrade; le bande del brigantaggio locale, che infestarono senza tregua queste zone fino al 1870; nonché le
calamità naturali (carestie, epidemie e terremoti) che funestarono periodicamente le medesime valli.

In situazioni e frangenti del genere le popolazioni locali, inermi ed abbandonate al loro destino dai governi centrali, sovente deboli o inesistenti, riponevano la loro salvezza unicamente nei santi protettori.

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