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Settefrati

Nei primi decenni del sec. XVI: incrementi edilizi

Gli anni indicati sono quelli della prepositura di d. Federico De Manlion, prete spagnolo, nella chiesa di S. Maria di Canneto. Ma nella storia del santuario lo troviamo più esattamente negli anni 1530-1533, alla fine del suo abbaziato, quando vecchio e malato nella sua abitazione di Settefrati con alcuni raggiri fu da incaricati di Montecassino costretto a rinunciare al suo beneficio.

Da un manoscritto non firmato né datato dell’archivio cassinese, ma da porsi verso la fine del sec. XVI, scritto a mo’ di lettera informativa, veniamo a sapere che il buon prete, vistosi ingannato e defraudato, fece ricorso alla S. Rota che, dopo aver accertato i fatti, lo reintegrò nei suoi diritti e nelle sue funzioni.

Il documento ci dice tra l’altro che il De Manlion aveva posseduto “per molti et molti anni” pacificamente quel beneficio e che aveva “riparato la chiesa et l’habitatione et fabricatovi di molte altre stanze et accomodato et acconcio ogni cosa, acciò che li Popoli non perdessero la divotione che havevano a quella chiesa et che non si perdessero molte reliquie che vi erano”.

Notizie veramente interessanti per questa nostra ricerca ed, attesa l’epoca a cui esse si riferiscono, gli inizi del ’500, assai rare a reperirsi nei maggiori archivi, come quello diocesano o l’Archivio Segreto Vaticano.

Rileviamo innanzitutto per la prima volta l’esistenza a Canneto di un’abitazione per il preposito, ovviamente annessa alla chiesa, in un posto imprecisabile, anche se preferiamo pensarla al lato sud, in fondo verso il fiume, nel sito dove sorse in seguito la Casa dell’eremita, essendo un posto più soleggiato e al riparo dei venti gelidi del nord.
In quanto alle “molte altre stanze”, che il bravo abate-preposito vi fabbricò, oltre a quelle della detta abitazione che preesistevano, esse erano indubbiamente quelle, che si allineavano, sia sul portico frontale della chiesa, sia sulle due navette laterali, a ridosso del muro perimetrale della navata centrale.
Il buon d. Federico sul davanti della chiesa fece costruire un portico con tre archi e con volte a crociera in pietra, sul quale sistemò le prime tre stanze con regolari finestre sul prospetto; poi, sempre restando nel circuito delle mura esterne del sacro edificio preesistente, abbassò ambedue le volte laterali per ricavarvi sopra quattro stanzette per parte con piccole finestre sui due lati opposti della chiesa, a nord e a sud. Quelle del lato sud sono certe, come si può rilevare dalla prima foto storica del santuario, che ritrae appunto questa parte e la facciata con il piccolo portico sottostante.
All’interno, nel piano della chiesa, per dare luce ed aria alle due navette laterali, egli aprì tre finestrole per parte, come ci mostra la medesima foto.
Un indizio sicuro di questo adattamento fatto da d. Federico era l’esistenza di una finestra a lunetta rimurata, che dava direttamente all’interno della chiesa e che si trovava nella cosiddetta “stanza delle suore”, l’ultima delle antiche stanzette a destra, rimaste fino ai nostri giorni.

Essa senza alcun dubbio provava due cose:

  • che la precedente navata destra e di conseguenza, per ragioni di simmetria e per esigenze architettoniche, anche quella di sinistra, arrivava a tale altezza con una finestra a lunetta sommitale per parte;
  • che questa era la parete di fondo, che chiudeva ad est la primitiva chiesa.

Anche la navata di centro della detta chiesa, per ragioni di luce e di aerazione, aveva sulla parete di fondo in alto una finestra lunata. Alle stanzette del piano superiore si accedeva mediante scalinata esterna ad una o due rampe, situata nella parte nord del santuario. All’interno dell’antico tempio non c’era spazio per una struttura del genere.
Una delle tre camere del prospetto e più esattamente quella posta all’angolo sud-ovest, come indicava il comignolo soprastante che qui svettava, era adibita a cucina. Anche questo un particolare rivelatoci dalla medesima foto.
Con tale serie di stanze e stanzette, che dovevano essere in tutto n° 11, sistemate al piano superiore del santuario, l’intraprendente abate-preposito dotò la chiesa di Canneto dei primi servizi, indispensabili soprattutto nel giorno della festa che già allora si celebrava il 22 agosto con relativa vigilia, consistenti in piccoli dormitori, dispensa, guardaroba e cucina.

Era il minimo richiesto per alloggiare convenientemente un buon numero di sacerdoti confessori e di laici addetti ai vari compiti: trasporto di viveri con quadrupedi, preparazione dei pasti, raccolte di offerte e pulizie.

Da allora in poi i detti servizi restarono sempre in quel piano a ridosso della chiesa fino alla nostra epoca, condizionando purtroppo ogni ulteriore sviluppo dell’edificio sacro, specie dalla parte delle tre navate, che rimasero per secoli ingabbiate tra quei servizi.

Invece il nuovo portico o nartece antistante veniva a coprire i tre ingressi del tempio e nel contempo offriva vantaggiosamente ai pellegrini un piccolo riparo per la notte o durante le ore cocenti della giornata o in caso di intemperie, che erano e sono ancora frequenti nel giorno della festa. In verità, ben poca cosa rispetto alle moltitudini di fedeli che affluivano a Canneto.

Era comunque il primo tentativo di dare un ricovero almeno a una piccola parte di pellegrini, quale segno di ospitalità e di fraternità. Un problema, che ha sempre assillato gli amministratori del santuario e che, dopo tanti secoli, nonostante le ultime grandi costruzioni degli anni ’80 del secolo appena trascorso, è ancora lungi dall’essere risolto.


Tratto dal libro di Mons. Dionigi Antonelli • La chiesa di S. Maria di Canneto: dalle antiche costruzioni all’attuale ristrutturazione generale

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